Cos’è il biohacking?

Negli ultimi tempi, sulla scia dell’aumento della consapevolezza relativa all’importanza di mantenere un livello ottimale di benessere generale, si parla sempre più di biohacking. Di cosa si tratta? Se ti stai ponendo domande in merito, non devi fare altro che proseguire nella lettura delle prossime righe dell’articolo per saperne di più!

Biohacking: di cosa si tratta?

Il termine biohacking è stato coniato recentemente. Quando lo si chiama in causa, si inquadra un approccio che vede il singolo individuo impegnato nell’esercizio di una forma di controllo sulla propria biologia, sempre con il fine di migliorarla.

Concetto che ha preso piede grazie ad alcuni miliardari della Silicon Valley intenzionati a trovare il modo di vivere il più a lungo possibile – le teorie scientifiche sull’aumento della vita media nei prossimi decenni sono all’ordine del giorno negli ultimi anni e parlano di età superiori anche al secolo – il biohacking, per ovvi motivi, si fonda tantissimo sulla dieta.

Quando lo si chiama in causa, infatti, è naturale nominare Dave Asprey, imprenditore e informatico grazie alle cui sperimentazioni, oggi come oggi, siamo a conoscenza dell’esistenza del bulletproof coffee. Bevanda consumata spesso da chi segue la dieta chetogenica, è di origine tibetana e si contraddistingue per la presenza di caffè, olio di cocco caratterizzato dalla presenza di grassi MCT, burro ayurvedico chiarificato.

Tornando a elencare tutte le sfaccettature del biohacking e rimanendo nel campo della dieta, un doveroso cenno va dedicato al digiuno intermittente, ma anche all’integrazione e a procedure che richiedono la presenza di un medico, come per esempio l’emotrasfusione.

Tutti i volti del biohacking: dal neurofeedback ai dispositivi indossabili

Il mondo del biohacking tocca anche altri ambiti oltre all’alimentazione. Tra questi è possibile citare il neurofeedback. Tecnica arrivata in Italia relativamente da pochi anni, ha mosso i suoi primi passi all’inizio del terzo millennio dopo essere stata utilizzata sui reduci statunitensi della guerra in Afghanistan. In cosa consiste? In un approccio privo di invasività – parte tutto con l’applicazione di elettrodi in corrispondenza delle orecchie e della testa dei pazienti e non è previsto assolutamente l’utilizzo di energia elettrica – grazie al quale è possibile intervenire, migliorandoli, sugli aspetti elettrofisiologici del cervello umano.

Entrando nel vivo di questo aspetto ricordiamo che, di fatto, il neurofeedback è uno strumento grazie al quale è possibile “educare” il cervello all’emissione di onde caratterizzate da uno specifico pattern a sua volta collegato a una situazione di benessere e lucidità. Dati scientifici alla mano, questo approccio può essere chiamato in causa quando si tratta di risolvere problematiche fastidiose come gli acufeni.

I volti del biohacking comprendono anche il ricorso a dispositivi indossabili. Soluzioni come Vivalette bracciale, dispositivo avente il fine di ottimizzare il biomagnetismo del corpo, e smartwatch sono sempre più popolari e permettono, soprattutto nell’ultimo caso, di monitorare i dati relativi al proprio benessere.

Il grinder

Quando si parla di biohacking, un doveroso cenno va dedicato anche al cosiddetto grinder. Di cosa si tratta? Di una branca del mondo a cui stiamo dedicando queste righe che prevede l’impianto di chip sottocutanei. In questo novero, è possibile includere quelli che permettono di tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue.

Biohacking e ricerca scientifica: ecco cosa sapere

Il biohacking è da diverso tempo al centro dell’attenzione mediatica. Alcuni dei suoi aspetti non hanno fondamento scientifico. Altri, invece, hanno visto la loro efficacia confermata da diversi studi. In questo novero è possibile includere il già citato neurofeedback dinamico non lineare. Come già detto, l’inizio del suo utilizzo è legato proprio all’approccio scientifico contro il disturbo post traumatico da stress, una delle conseguenze sulla mente umana dell’esperienza bellica.

Da non dimenticare è altresì la possibilità di includere sotto il cappello del biohacking anche il fatto di passare del tempo in mezzo alla natura. Secondo una metanalisi risalente al 2019 e condotta in maniera congiunta da team di studiosi attivi presso la Colorado State University e il Municipal Institute of Medical Research di Barcellona, è possibile parlare di un’associazione inversa fra contatto con gli spazi verdi e mortalità per diverse cause.